Il marchio aziendale: le basi
Il marchio aziendale è spesso sottovalutato nel processo di creazione dell’identità aziendale. Mi capita spesso di trovarmi tra le mani un marchio realizzato dal titolare dell’azienda stesso, o da un amico del figlio, o tramite un programma automatizzato per la creazione del marchio di cui il web è pieno. Questo accade perché lo si considera solo come un segno che in qualche modo rappresenti il nome aziendale e la merceologia, non come il seme da cui nascerà tutta la corporate e la comunicazione a venire.
Affidare la creazione del proprio marchio aziendale a un professionista consentirà all’azienda di “partire col piede giusto” realizzando un insieme grafico che contenga tutti i semi che verranno sviluppati negli anni dalla comunicazione pubblicitaria. Per capire meglio analizziamo il marchio in tutte le sue parti.
Il segno grafico
È la parte “visiva” del marchio aziendale, può rappresentare più o meno sinteticamente l’attività dell’azienda o essere un segno astratto. Ha lo scopo di enfatizzare visivamente l’impatto del marchio e se possibile di aggiungere “emozione” all’insieme.
Il logotipo
È la parte “testuale” del marchio, tipicamente riproduce il nome dell’azienda. Deve sempre essere chiaramente leggibile armonizzandosi col segno grafico.
La specifica
È la parte testuale del marchio che “spiega” di cosa si occupa l’azienda. Molto spesso il nome aziendale non ne rappresenta la merceologia e si rende quindi necessario aggiungere una riga di testo (seppur sintetica) che renda l’insieme del marchio completo.
Se un marchio contiene queste tre parti sarà autonomo e autoesplicativo anche se riprodotto singolarmente e fuori da qualsiasi contesto aziendale.
L’indirizzo web
L’ultima parte è proprio questa, e dovrebbe sempre essere presente per indicare in modo inequivocabile il “luogo” dove reperire tutte le informazioni sull’azienda.
Alcune precisazioni importanti sul marchio aziendale
Un tempo il “marchio di fabbrica” era considerato accademicamente come un insieme “intoccabile” di proporzioni e colori. Nel “company profile” dell’azienda (il “libro sacro” che viene fornito unitamente all’esecutivo del marchio stesso) erano elencate le proporzioni in cui il marchio doveva essere ridimensionato, le sue relazioni con gli altri elementi grafici, i colori di cui era composto e tutto questo era rigidamente codificato in modo che non fosse possibile usare il marchio in altro modo che non quello previsto. Personalmente trovo che oggi tutto questo sia un po’ anacronistico (a parte alcune rare eccezioni) in quanto le regole stesse della comunicazione sono cambiate. Oggi un marchio deve essere flessibile, deve potersi adattare a mille situazioni di comunicazione sempre nuove (un tempo si parlava quasi esclusivamente di carta stampata e televisione) mantenendo la sua identità ma nel contempo sfruttando le potenzialità dei media. Per questo motivo la proposta di un marchio dovrebbe sempre prevedere una versione su sviluppo orizzontale e una su sviluppo quadrato o verticale (l’area ideale che un marchio dovrebbe occupare è quella quadrata/leggermente orizzontale ma spesso l’eccessiva lunghezza del nome lo impedisce). Per lo stesso motivo il simbolo grafico dovrebbe essere “estraibile” dall’insieme e le due parti (segno grafico / logotipo+specifica) dovrebbero poter vivere e mantenere la loro identità anche singolarmente. I colori, seppur stabilito un colore istituzionale, dovrebbero essere modificabili per integrarsi correttamente nei media, anche in questo caso mantenendo l’identità dell’insieme.
Il marchio aziendale secondo me
È doveroso il “secondo me” in quanto sto esprimendo un parere assolutamente personale. Oggi non conta più che il marchio (o il segno grafico) rappresenti la merceologia aziendale, così come è importante che il nome sia unico, memorabile e “sonoro”. In un’epoca in cui tutto è immagine, pensare al marchio rigidamente è sbagliato: è più importante che il segno sia unico e indimenticabile piuttosto che rappresenti correttamente la nostra merceologia e che il nome sia memorabile e assonante, anche se astratto, piuttosto che coerente ma “smorto”. L’insieme del marchio (segno+logotipo+specifica) non deve essere didascalico, ma sinergico: ogni sua parte deve aggiungere qualcosa all’insieme sfruttando le proprie caratteristiche intrinseche (l’emozione+il suono+la collocazione nel reale).
Il lettering
La scelta del tipo di carattere da utilizzare nel logotipo è definita dalla caratteristiche e dal “sapore” del marchio stesso: elegante o tecnologico, modaiolo o raffinato, street art o gotico deve sempre comunque assecondare le caratteristiche dell’attività aziendale e del suo marchio. Personalmente cerco, dopo aver scelto la font adatta, di modificare i caratteri rendendo anch’essi “grafici” e distaccandomi dall’uso della font pura e semplice.In ogni caso la leggibilità, soprattutto a piccole dimensioni, è un must!
Il logo-marchio
Molto spesso si include il simbolo grafico all’interno del logotipo ottenendo un insieme compatto e più facile da impaginare. Questa pratica consente spesso di ottenere un insieme creativo dove segno e logotipo interagiscono e sinergizzano. Personalmente trovo che anche in questo caso sarebbe meglio poter estrarre il simbolo per un futuro uso isolato (ad esempio nel merchandising) prevedendo quindi anche una versione del logotipo completo.
Gli orrori (sempre secondo me)
1) Per “simbolo grafico” si intende proprio questo, non un quadro!
Troppo spesso vediamo marchi che in realtà sono illustrazioni complesse che raccontano una storia. Il marchio aziendale è una firma in calce a un libro. Niente di più. Lasciamo che sia il libro a raccontare la storia e a rappresentarla con mille illustrazioni o fotografie. Il segno grafico deve essere semplice, elementare, essenziale, privo di effetti speciali che invece useremo nella comunicazione a venire. Il marchio aziendale deve essere riproducibile su qualsiasi media e leggibile in ogni dimensione: dalla penna a sfera al banner che ricopre l’intera facciata di un edificio. Deve essere riproducibile con qualsiasi tecnica di stampa: dalla semplice serigrafia a 1 colore sul cappellino, all’esacromia più sofisticata. In tutti questi casi deve sempre mantenere le sue caratteristiche e la sua forza comunicativa: un segno grafico “illustrato” con tanti bei colori e sfumature piacerà sicuramente al cliente, ma non potrà essere riprodotto su una penna a sfera perchè diverrà illeggibile e non potrà essere a colori perchè la serigrafia su questi oggetti non lo consente: in sintesi non potrà svolgere il suo ruolo di firma.
2) Basta con gli acronimi!!!
L’acronimo è la morte della comunicazione (come sempre a parte alcuni casi specifici e molto creativi). Se condividiamo il fatto che il logotipo deve “suonare” permettendoci di recitarlo facilmente, chiaramente e senza errori non possiamo chiamare la nostra azienda F.A.P. o C.I.G.A.T. o S.E.P.A……. aaaaarrrggghhhhh!
Purtroppo il comunicatore viene quasi sempre interpellato dopo che il nome aziendale è stato scelto, e quindi non può che prendere atto del nome orrendo e farsene una ragione. Ma vi prego, se potete, cercate un nome carino, musicale, originale per la vostra azienda. Grazie 🙂
CONCLUSIONI
Quanto esposto sopra non può e non vuole essere un elenco di regole assolute, ma piuttosto un orizzonte a cui puntare quando si crea un marchio aziendale. Non è infatti quasi mai possibile applicare tutti i “buoni propositi” che ho esposto per mille motivi di varia natura. Ciò che conta, secondo me, è aver bene in mente queste semplici nozioni e cercare di metterne in pratica il più possibile.